Favino nero del Vesuvio
Un dono per la terra

Azienda agricola Alessandro Capitoni

Quando si parla di prendersi cura della terra, io non penso mai a un atto tecnico. Penso a un gesto d’amore. Uno di quei gesti silenziosi che non fanno rumore, ma che cambiano tutto. Il sovescio, per me, è proprio questo.

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Nel mondo frenetico di oggi, dove tutto deve essere veloce, misurabile e immediato, il sovescio è una pausa. Una scelta lenta. Una promessa alla terra: “Ti rispetto, ti nutro, ti ascolto”.

E tra tutte le piante che uso per il sovescio nella vigna, ce n’è una che amo in modo particolare: il favino nero del Vesuvio.

Ma andiamo per ordine: che cos’è il sovescio?


Il sovescio è una pratica antica, contadina, di quelle che si tramandano con i gesti più che con le parole. Consiste nel seminare una coltura (di solito leguminosa) e interrarla prima che fiorisca, così da restituire al terreno materia organica, azoto, e nuova vita.
È come cucinare un brodo buono per la terra: ricco, naturale, fatto con ingredienti semplici.
Quando vedi quel verde vivo crescere tra i filari, e poi lo vedi tornare alla terra, capisci che stai facendo qualcosa di giusto.

Niente di industriale. Solo tempo, pazienza, natura.

Perché proprio il favino? E perché quello “nero del Vesuvio”?


Il favino è una leguminosa rustica, forte, generosa. Cresce bene anche dove altri si arrendono, trattiene l’acqua, rompe il terreno duro con le sue radici.

Ma il favino nero del Vesuvio ha qualcosa in più: nasce su suolo vulcanico, respira zolfo e lava, ha una fibra più potente, una presenza più decisa. È una pianta con carattere, e quando la semini, si fa notare.

Ci piace usarlo nei vigneti perché non è solo una pianta da sovescio, è una compagna di lavoro. Entra nel ciclo della vigna con rispetto, arricchisce senza rubare spazio.

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Le sue radici ospitano i rizobi, quei batteri amici che fissano l’azoto atmosferico e lo trasformano in nutrimento per il terreno.

E quando lo interriamo — sempre prima della fioritura — so che sto dando al terreno un pasto completo, genuino, equilibrato. Come una zuppa fatta in casa.

Cosa succede quando semini favino tra i filari


La magia inizia in autunno, quando il vigneto entra in riposo.
Seminiamo il favino tra i filari a ottobre-novembre. Lui lavora sotto il freddo, con discrezione.
Cresce lentamente, ma lavora senza sosta: scalda la terra, la muove, la nutre.
E quando arriva la primavera, prima che sbocci, lo falciamo e lo interriamo.

Non servono trattori enormi, basta un passaggio leggero. Quello che era verde e vivo torna nel suolo e si trasforma in humus, in fertilità, in energia naturale per le viti.
Le viti ringraziano. E come se ringraziano.

Ecco cosa vedo nella vigna grazie al favino
• Il suolo cambia faccia: diventa più soffice, profumato, ricco. Lo vedi, lo senti sotto i piedi, e lo senti anche nel calice.
• La vigna respira meglio: le radici si allungano, prendono forza. Le foglie si fanno più verdi, più equilibrate.
• Il vino ti racconta un’altra storia: sento più freschezza, più complessità. Un legame più diretto con la terra da cui nasce.

E tutto questo succede senza concimi chimici, senza forzature, solo ascoltando e accompagnando i cicli della natura.

Il sovescio è una scelta etica (prima che agronomica)
Io lo dico sempre: la terra non è nostra. È solo in prestito.

E ogni volta che faccio un gesto come il sovescio, sento di restituire qualcosa.
Il favino nero del Vesuvio è un dono doppio: alla terra, che si rigenera; e a chi beve il vino, che riceve un prodotto sincero, pulito, vero.

Non è una moda, non è una tecnica. È una filosofia di lavoro, una responsabilità.

E non solo in vigna…
Certo, lo usiamo tra i filari, ma il favino da sovescio è perfetto anche in orto, nei campi lasciati a riposo, in ogni angolo dove si vuole restituire fertilità senza scorciatoie.
Lo consiglio a chi coltiva per passione, a chi ha un pezzo di terra e vuole prendersene cura come si fa con un amico: col tempo, con ascolto, con rispetto.

Una tradizione che profuma di futuro
Quando seminavamo favino la prima volta, lo facevamo con curiosità. Oggi lo facciamo con convinzione.

È una di quelle pratiche che ti fanno sentire parte di qualcosa di più grande.
E ogni anno, quando lo vedo crescere tra le viti, penso ai contadini che prima di me facevano lo stesso gesto, con la stessa fiducia.

Il favino nero del Vesuvio è una radice che unisce passato e futuro.
Ed è anche un modo per dire, senza tante parole: io alla terra ci tengo davvero.

In conclusione: la terra sa ricambiare
Se c’è una cosa che ho imparato, è questa: se tratti bene la terra, lei ti restituisce tutto con gli interessi.

Ti dà frutti migliori, piante più forti, aromi più veri. E anche un po’ di orgoglio, diciamocelo.
Quindi sì, io continuo a seminare favino. Lo faccio con mani sporche, con il sorriso e con la certezza che è la strada giusta.

E se un giorno passate da me, vi porto tra i filari a vederlo da vicino. E poi magari ce ne stiamo un po’ in silenzio, ad ascoltare il vento tra le foglie. Perché anche quello fa parte del lavoro.

A presto,

Alessandro

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